- Il DOJ chiede lo smantellamento del monopolio di Google, compresa la vendita di Chrome.
- L'UE ha inflitto a Google una multa di 2,95 miliardi di euro per abuso di posizione dominante.
- Accordi per l'installazione predefinita di Gemini validi fino al 2028 sono sotto esame.
- Richiesta la cessione di AdX, principale ad exchange a livello mondiale.
Il futuro della rete internet è in bilico, legato a un intricato intreccio di dispute legali e manovre politiche che vedono Google al centro di un acceso dibattito. Sia il Dipartimento di Giustizia statunitense (DOJ) che la Commissione Europea hanno puntato i riflettori sul gigante di Mountain View, contestandone le pratiche monopolistiche nei settori della pubblicità digitale e dell’intelligenza artificiale. L’enorme posta in palio trascende il destino di Google, arrivando a modellare la struttura stessa del web che verrà.
Le accuse e le richieste del Dipartimento di Giustizia
Il DOJ ha imputato ad Alphabet, la holding di Google, di aver sfruttato la sua posizione di predominio nel mercato delle ricerche online, integrando in modo strategico i propri prodotti basati sull’intelligenza artificiale per rafforzare il proprio vantaggio competitivo. L’avvocato del governo David Dahlquist ha affermato che è giunto il momento di comunicare a Google, e a tutte le realtà monopolistiche, che le violazioni delle normative antitrust comportano delle conseguenze.
Le richieste del DOJ sono di vasta portata:
Smantellare il monopolio di Google, imponendo la vendita del browser Chrome.
Interrompere le partnership esclusive con i produttori di smartphone.
Rendere più equa la distribuzione di query e dati di ricerca.
Obbligare Google a concedere in licenza i risultati di ricerca ai concorrenti. In caso di fallimento delle misure precedenti, vendere il sistema operativo Android.
Precedentemente, il giudice federale Amit Mehta aveva stabilito che gli accordi di esclusiva stipulati con Apple, Samsung e altri produttori avevano rafforzato la posizione dominante di Google. Attualmente, l’attenzione del processo è rivolta alla portata e alla natura di questi accordi, inclusi quelli che prevedono l’installazione predefinita dell’applicazione di intelligenza artificiale Gemini, con validità fino al 2028.

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La risposta di Google e le possibili conseguenze
Google si difende, definendo le accuse del DOJ una “lista dei desideri” dei concorrenti e sottolineando che le sue innovazioni non dovrebbero essere punite, ma premiate. L’azienda sostiene che fermare questi accordi significherebbe alzare i prezzi degli smartphone e danneggiare partner come Mozilla. In caso di sentenza sfavorevole, Google ha annunciato appello immediato.
La difesa di Google si basa su diversi punti: Le proposte del DOJ sarebbero un disastro per la privacy degli utenti, poiché la condivisione delle query di ricerca con aziende terze potrebbe compromettere la sicurezza dei dati.
Partner come Mozilla, che dipendono dagli accordi con Google per la ricerca, si troverebbero in difficoltà economiche.
Mentre negli Stati Uniti si dibatte su come limitare l’influenza di Google, i giganti cinesi dell’IA potrebbero dominare il mercato.
La sentenza del tribunale potrebbe ridisegnare l’assetto tecnologico globale per il prossimo decennio.
L’intervento dell’Unione Europea
Anche l’Unione Europea ha preso di mira Google, infliggendo una multa da 2,95 miliardi di euro per abuso di posizione dominante nel mercato della pubblicità digitale. A detta dell’esecutivo comunitario, Google ha sistematicamente privilegiato i propri servizi di display advertising, svantaggiando editori, inserzionisti e concorrenti.
La Commissione Europea ha dato a Google 60 giorni di tempo per presentare una proposta credibile di “remediation”. Qualora non vengano proposte soluzioni adeguate, Bruxelles non esclude interventi più incisivi, come la scissione di alcune attività pubblicitarie del gruppo.
La multa europea si inserisce in una sequenza di sanzioni che hanno colpito Google negli ultimi anni:
2017: multa da 2,42 miliardi per aver favorito il proprio servizio di comparazione prezzi.
2018: sanzione record di 4,34 miliardi di euro, correlata ad Android, per prassi anticoncorrenziali nei contratti di preinstallazione.
2019: sanzione di 1,49 miliardi di euro relativa alle politiche di esclusività pubblicitaria con AdSense.
Google respinge le accuse e ha annunciato ricorso, definendo la decisione “sbagliata” e dannosa per migliaia di imprese europee.
Quale futuro per il web? Un equilibrio tra concorrenza e innovazione
L’esito di queste battaglie legali e politiche potrebbe ridisegnare l’architettura dell’internet moderno, ridefinendo le regole del gioco per il settore tecnologico globale. *L’oggetto della contesa trascende la mera supremazia di Google; riguarda piuttosto l’armonia tra libera competizione, propensione all’innovazione e tutela dell’utenza in un contesto in cui l’intelligenza artificiale gioca un ruolo sempre più centrale.
Il Dipartimento di Giustizia statunitense ha richiesto lo scorporo forzato di AdX, il principale ad exchange a livello mondiale. Tale richiesta è giunta dopo che la giudice federale Leonie Brinkema ha concluso che l’azienda aveva “volontariamente” monopolizzato due settori chiave del mercato della pubblicità digitale: l’ad exchange (AdX) e il publisher ad server (DoubleClick for Publishers, ora parte di Google Ad Manager).
Questo è un momento cruciale. Non è la prima volta che negli Stati Uniti si discute della frammentazione di una grande azienda tecnologica, come dimostrano i casi di Microsoft negli anni ’90 o le speculazioni su Meta. Tuttavia, è la prima volta che il governo americano richiede la dismissione di un asset fondamentale del business pubblicitario di Google, presentando un piano dettagliato per una cessione graduale e una supervisione pluriennale.
Concorrenza Leale: La Chiave per un Ecosistema Digitale Sostenibile
In conclusione, la vicenda Google ci pone di fronte a una riflessione cruciale: come garantire un ecosistema digitale che promuova sia l’innovazione che la concorrenza leale? Le decisioni che verranno prese nei prossimi mesi avranno un impatto profondo sul futuro del web e sulla nostra capacità di accedere a informazioni e servizi in modo equo e trasparente.
Dal punto di vista SEO*, è fondamentale comprendere come queste dinamiche influenzano la visibilità online. Una nozione base è l’importanza di diversificare le fonti di traffico, non affidandosi esclusivamente a Google. Una nozione avanzata è l’analisi della SERP (Search Engine Results Page) per identificare opportunità di posizionamento alternative, come i featured snippet o i risultati organici provenienti da fonti diverse.
In definitiva, la battaglia contro il monopolio di Google è una battaglia per la democrazia digitale. Sta a noi, utenti e professionisti del settore, vigilare e contribuire a costruire un web più aperto e inclusivo.